- Parte I -
“Non
è possibile, anche stamattina non ha dimenticato di darmi la sveglia”. Lo
squillo del cellulare riportò Elvira alla realtà facendola passare dal sonno
alla veglia in maniera traumatica. Livia, la sua amica, si era prefissata
l’arduo obiettivo di darle delle regole che le impedissero di vivere le sue
giornate alla mercé di se stessa.
In
un gesto di disperazione si coprì il capo con il cuscino affinché potesse avere
l’illusione che quel suono arrivasse in maniera attutita alle orecchie, o che
prima o poi Livia interrompesse la comunicazione; l’illusione restò tale ed il
cellulare continuò a riproporre Meraviglioso. Elvira pensò che sicuramente
loro, i Negramaro, non avevano mai avuto il piacere di conoscere una piattola
come Livia per pensare che ci potesse essere qualcosa di meraviglioso in una
giornata che iniziava così.
Alla
fine vinta, rispose al cellulare. Già perché la missione non era compiuta
fintanto che Elvira non le avesse dimostrato che era davvero sveglia e questo
doveva essere provato dalla capacità di articolare una conversazione quantomeno
accettabile.
Una
volta accertato questo, le ricordava di
mettersi al lavoro senza perdere tempo, quella tela doveva essere
completata quanto prima.
- Parte II -
- Parte II -
I
sentimenti che provava verso quella donna avevano la capacità di mutare nel
breve spazio di una ventina di minuti e passare, attraverso gradi successivi,
dall’odio profondo al più grande affetto.
I movimenti
dei suoi arti erano lenti, stanchi come se avesse trascorso la notte a reggere
il mondo sulle spalle al posto di Atlante. Raggiunse lo studiolo, un’occhiata
rapida alla vetrata sul soffitto da cui filtrava la luce per assicurarsi che
arrivasse nella giusta maniera sulla tela,
sistemò meglio il cavalletto in quella direzione.
Un’ultima
pennellata ed avrebbe terminato. Aveva raggiunto traguardi insperati
frequentando quel corso. Lei che un pennello non sapeva nemmeno cosa fosse ora
a distanza di pochi mesi, era in procinto di completare la sua dodicesima tela.
L’insegnante
era entusiasta, certo ogni tela riceveva una ritoccata dalle sue mani sapienti
ma riconosceva ad Elvira un certo talento.
Il
desiderio di Elvira di non essere più disposta a nascondere le proprie
emozioni, fece sì che queste si riversassero in paesaggi attraverso colpi di
spatola rapidi e dai colori caldi. Una forte predisposizione per
l’impressionismo, la sua, emersa un po’ alla volta nel corso del tempo verso
cui nemmeno lei sospettava di essere incline.
- Parte III -
- Parte III -
Ecco
ora anche la dodicesima tela era quasi
completa, tecnicamente. Sì perché una pulsione interiore le diceva che mancava
qualcosa di non così immediatamente evidente.
Non
capiva, così prese la tela e senza troppi infingimenti riconobbe che aveva
bisogno del parere di Olga, la sua insegnante. Lei le avrebbe dato la risposta
che cercava, ne era certa.
Raggiunse
il centro di Cernusco, posteggiò l’auto alla meno peggio onde evitare multe e
dopo meno di un’ora la tela era al cospetto di Olga.
Lei,
di fronte a quella visione, non riusciva a proferire parole. Il quadro non
raffigurava nessun paesaggio ma il volto di una donna che assomigliava, sebbene con qualche differenza, al suo. Non
c’era dubbio i tratti somatici riprodotti da Elvira erano proprio i suoi.
-
Ma
come aveva fatto? Avrà avuto qualche sua foto? – si chiese mentalmente.
Non poteva aver riprodotto quel
volto facendosi aiutare solo dalla memoria visiva!
Elvira
non si era resa conto di quella somiglianza che le apparve evidente solo di
fronte allo stupore di Olga. Lei rimase così, immobile per qualche istante
meravigliata dal quel lavoro e terribilmente attratta verso la tela. Simulò una
tranquillità che era ben lontana dal provare. Non riusciva a staccare gli occhi
da quel volto.
Pensare
che Elvira le aveva sempre proposto paesaggi. Finora!
Ora
cambia il soggetto, ritrae un volto, il suo, che da quella tela appare straordinariamente bello.
– Parte IV -
Una tale beltà
che fece arrossire Olga la cui umiltà non le permetteva di paragonarsi a
quell’immagine, a quei lineamenti così lievi, dolci, quasi carezze sulla tela.
I contrasti cromatici, però, tenevano sempre viva l’inclinazione impressionista
di Elvira. Colori forti e vivi per regalare emozioni che arrivassero dritte
all’anima.
Quelle emozioni che lei aveva sempre celato
in se.
Il bisogno di conferme dell’allieva che
aspettava il responso della sua insegnante, il timore di un giudizio negativo
le fece volgere le spalle verso la finestra con noncuranza come se non le
importasse granché di quanto di li a poco avrebbe ascoltato ma il suo cuore era
in tumulto. Così questo divenne sorpresa, stupore e sgomento quando sentì Olga
dirle: “Voglio questo quadro. Te lo compro! Quanto chiedi?”
“Tu
vuoi comprare il mio quadro? Davvero? Allora ti piace?” L’educazione ricevuta
le impedì di cominciare a saltare nell’aula come una bambina ma era felice.
Una
felicità che era orgoglio per una sua creatura. Tutto il suo universo emotivo
si concentrò negli occhi che sprigionarono una luce intensa, rendendoli
bellissimi.
“No, non
voglio nulla. Te lo regalo. Se sono diventata brava è per merito tuo.” ammise
tormentando gli anelli.
- Parte V -
- Parte V -
Era
combattuta tra l’esaltazione per quel volto tanto bello, che era il suo, e
l’odio per la ragione che quello avrebbe sicuramente avuto sullo scorrere
inesorabile del tempo a dispetto di lei
che invece sarebbe invecchiata.
Nei
giorni che seguirono, quella che le era sembrata la riflessione di un momento,
divenne il suo tormento. Più guardava il quadro, più voleva vincere questa
competizione tra lui e lei, arbitro il tempo. Non sapeva come fare.
Un
articolo su un giornale le diede l’idea. Avrebbe vinto lei, togliendosi la vita
come quel kamikaze che si era fatto esplodere per seguire il suo ideale; anche
lei aveva un ideale: la giovinezza
eterna!
La
notizia del suicidio di Olga giunse
ad Elvira mentre preparava la cena. Una telefonata di una collega del corso di
pittura le comunicò quanto mai avrebbe voluto sentire.
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